Smart working: Uil, bene deroga ma ora nuova cornice regole in Ccn 

Smart working: Uil, bene deroga ma ora nuova cornice regole in Ccn

Pubblicato il: 05/01/2021 17:52

Bene la deroga dell’utilizzo del lavoro agile concessa dal governo di fronte all’infuriare dell’epidemia ma è comunque tempo di ridefinire “una nuova, ampia, cornice regolatoria” da inserire nei vari contratti nazionali. E’ un documento della Uil, postato sul sito della confederazione di via Lucullo, a rimettere sotto i riflettori della politica il tema dello smart working dopo la decisione del milleproroghe di sospendere fino al 31 marzo prossimo la necessità di un accordo individuale con il lavoratore previsto dalla legge. Una cornice fatta di nuove tutele e di punti fermi per garantirne “un utilizzo più ampio” tanto più necessaria, oggi, quanto più si registra non solo “la massiccia crescita del fenomeno e la valutazione positiva che arriva da alcune fasce di lavoratori e di imprese coinvolte” ma anche il fatto che si è davanti ad “un periodo ancora indefinito di convivenza con il virus”.

Nessuna nuova legge, dunque, tantomeno una modifica di quella vigente del 2017, come chiede una parte del Parlamento a cominciare dal M5S che ha depositato un pdl ad hoc, quanto un quadro robusto e preciso di accordi che rinviano ai contratti collettivi e che rendano l’impiego dello smart working comunque sempre liberamente e volontariamente scelto dai lavoratori. “Abbiamo ritenuto prioritario il contenimento del contagio e dunque accettato di conseguenza un periodo transitorio di estensione in deroga dell’utilizzo del lavoro agile ma occorre tornare allo spirito di legge di un accordo volontario”, spiega all’Adnkronos il segretario confederale Uil, Tiziana Bocchi ribadendo come la strada da imboccare “sia quella della tutela contrattuale: si può prevedere anche un approccio normativo al tema ma solo implementando la legge esistente, non cambiandola”.

La contrattazione nazionale dunque, sintetizza la ‘piattaforma’ Uil, dovrà occuparsi di definire le regole basilari per l’utilizzo dello smart working, dalla durata alla modalità, dall’indennità alla revoca che potranno essere maggiormente specificate anche nella contrattazione di secondo livello. Non solo: risparmi o minori costi in termini di utenze elettriche ed energetiche derivanti da un massiccio utilizzo del lavoro agile da parte delle imprese devono essere condivisi con i lavoratori dipendenti.

Si potrebbe profilare, per il sindacato, una sorta di indennità per l’improprio aumento delle spese delle utenze domestiche subite nel corso del periodo di smartworking così come a carico del datore di lavoro dovranno esserci anche i costi derivanti dall’acquisto, manutenzione e usura dei device tecnologici. Allo stesso tempo, sull’impresa dovranno pesare anche i costi derivanti dallo svolgimento delle mansioni assegnate, come ad esempio le spese relative alla cancelleria, carta, toner etc. Il lavoratore in smartworking, che potrà accedere a momenti formativi ad hoc organizzati dall’azienda, beneficerà anche di eventuali ticket restaurant.

“Quello che deve emergere chiaro è che lo smart working non è un ‘lavoro da casa’; per questo dovrebbe essere vietato prevedere la totale assenza del lavoratore dall’azienda. Non è un lavoro residuale, con cui penalizzare professionalità o salario e soprattutto non deve diventare discriminante per le donne. Tanto meno è possibile sdoganare per noi eventuali scambio welfare-riduzione costi aziendali”, sintetizza ancora Bocchi che per questo sollecita un incontro con Confindustria più che con il ministro del lavoro, Nunzia Catalfo.

D’altra parte, per effetto dell’emergenza Covid-19 i lavoratori che stanno fruendo di questa modalità di lavoro agile, stima ancora il sindacato citando dati del ministero del lavoro, sono più che triplicati rispetto al 2019: passando da 570mila a 1,8 milioni, mentre abbiamo assistito ad un raddoppio nella Pa dove i progetti di lavoro agile sono passati dall’8 al 16%.