Tumori, +14% cancro seno da 2015, test genomici in Lea e no chemio inutili  

Tumori, +14% cancro seno da 2015, test genomici in Lea e no chemio inutili

Pubblicato il: 16/12/2020 17:42

I nuovi casi di tumore del seno in Italia sono aumentati del 14% in 5 anni, da 47.900 nel 2015 a quasi 55mila nel 2020. E oggi più di 834mila donne vivono dopo la diagnosi, con una sopravvivenza a 5 anni che raggiunge l’87%. I test genomici sono uno strumento utile per il clinico, perché consentono di identificare le pazienti in cui la chemioterapia è inappropriata, evitando tossicità non necessarie e risparmiando risorse. Nel nostro Paese, però, queste analisi sono gratuite solo in Lombardia, Toscana e nella Provincia autonoma di Bolzano, che ne hanno approvato la rimborsabilità. Per questo è necessario arrivare in tempi brevi a un rimborso nazionale dei test genomici, inserendoli nei Livelli essenziali di assistenza (Lea). La richiesta viene degli esperti riuniti per il Congresso internazionale ‘Il nuovo volto della cura del tumore mammario: l’aurora dei test genomici’.

“E’ importante uniformare la possibilità di accedere gratuitamente ai test genomici in tutte le Regioni, per evitare fenomeni di discriminazione territoriale – afferma Francesco Cognetti, responsabile scientifico del congresso, presidente Fondazione Insieme contro il cancro e direttore Oncologia medica Regina Elena di Roma – Siamo di fronte a una battaglia di civiltà. Nel Lazio, lo scorso giugno, è stata approvata dal Consiglio regionale una mozione che impegna il presidente della Regione a presentare richiesta formale in sede di Commissione Lea per il rimborso nazionale dei test genomici. Circa il 70% dei casi di tumore della mammella è di tipo luminale, cioè esprime i recettori estrogenici, ma non la proteina Her2. Dopo la chirurgia, il trattamento sistemico prevede l’utilizzo della terapia ormonale nei casi considerati a basso rischio oppure l’aggiunta della chemioterapia adiuvante (cioè dopo l’intervento chirurgico) alla terapia ormonale, in presenza di un rischio elevato”.

“Nella malattia luminale a rischio ‘intermedio’ sussiste però una significativa incertezza terapeutica, perché nelle linee guida internazionali e nazionali non vi sono indicazioni vincolanti su quando sia possibile omettere la chemioterapia o quando invece sia necessario somministrarla. Ne consegue una inevitabile eterogeneità nelle scelte cliniche, con una comprensibile prevalenza di atteggiamenti prudenziali in cui, in genere, viene raccomandata la chemioterapia. Da alcuni anni – continua Cognetti – la ricerca ha reso disponibili i test di profilazione genomica”.

“Queste analisi molecolari forniscono una stima del rischio di recidiva in misura molto più accurata rispetto ai parametri clinico-patologici tradizionali, identificando con maggiore precisione le pazienti che possono beneficiare della chemioterapia dopo l’intervento. Il test a 21 geni, Oncotype DX, è anche in grado di fornire una previsione del beneficio derivato dalla chemioterapia”.

“Dagli anni Ottanta, quando è nata la chirurgia conservativa della mammella, la qualità di vita delle donne affette da carcinoma mammario è stata al centro della nostra attenzione: numerosi studi clinici hanno consentito di offrire alle nostre pazienti trattamenti sempre più rispettosi della loro integrità psico-fisica – spiega Paolo Veronesi, direttore Programma Senologia Istituto europeo di oncologia di Milano e presidente Fondazione Umberto Veronesi – I test genomici, grazie alla possibilità di evitare trattamenti chemioterapici non necessari a una percentuale significativa di pazienti, proseguono in questa direzione. Per questo la loro rimborsabilità in tutto il territorio nazionale è essenziale, anche perché altrimenti si creano intollerabili disparità tra chi se li può permettere e chi no”.

“Le conseguenze del tumore della mammella e del trattamento – aggiunge Veronesi – hanno un impatto importante sul benessere della paziente e dell’intera famiglia e risvolti indiretti sulla società. La neoplasia del seno è in aumento nelle under 50, che spesso devono sospendere per lunghi periodi l’attività lavorativa. Si tratta di donne giovani, nel pieno della loro vita familiare e professionale, come madri, mogli e lavoratici. Inoltre, per le pazienti in età fertile, va considerata la possibile comparsa di infertilità secondaria in seguito alla chemioterapia. Da qui la necessità di utilizzare tutti gli strumenti che migliorino la qualità di vita e che tutelino l’integrità psico-fisica”.

Il valore clinico dei test genomici è stato confermato anche da sperimentazioni condotte in Italia. “Nello studio Pondx, realizzato in collaborazione con il Regina Elena, abbiamo coinvolto oltre 1.700 pazienti affette da tumore al seno sensibile agli estrogeni ed Her2 negativo, di cui 1.200 non presentavano interessamento linfonodale ascellare e la restante parte caratterizzata da interessamento massimo di 3 linfonodi – riferisce Riccardo Masetti, direttore Chirurgia senologica Fondazione Policlinico Gemelli di Roma e presidente Susan G. Komen Italia – Una donna su quattro senza interessamento dei linfonodi e ben una su due con linfonodi positivi hanno potuto evitare la chemioterapia inizialmente programmata dal team multidisciplinare sulla base dei criteri tradizionali”.

“Arrivare in tempi brevi a un rimborso nazionale dei test genomici è un obiettivo importante e urgente, anche per ridurre il rischio di contagio con Covid-19. Per le pazienti sottoposte a chemioterapia, la possibilità di infezione dovuta all’abbassamento delle difese immunitarie è elevata. Proteggerle, evitando chemioterapie non necessarie, è un importante presidio per arginare la pandemia”.

“Solo in Lombardia, in Toscana e nella Pa di Bolzano le pazienti possono accedere gratuitamente ai test e solo pochissimi centri hanno deciso di sostenerne autonomamente i costi, contando sul fatto che la riduzione del ricorso alla chemioterapia comporta significativi risparmi economici, oltre che una buona qualità della vita: questa situazione di disequità non è accettabile – conclude Rosanna D’Antona, presidente di Europa Donna Italia – A oggi, nonostante le evidenze di letteratura e di esperienza clinica ormai consolidate, il nostro Paese è il fanalino di coda dell’Europa in termini di accesso ai test genomici. Chiediamo che la Commissione Lea, che sta discutendo il tema, assuma una decisione quanto prima, in favore delle migliaia di donne che potrebbero evitare questo trattamento così invasivo”.