“In assenza di una specifica norma – continua la nota – a nulla sono valse le sentenze del Consiglio di Stato e quella della Corte Costituzionale, che ha sancito che i canoni possono essere aumentati, ma non retroattivamente, dovendosi distinguere fra i contratti di concessione in corso e quelli stipulati successivamente all’entrata in vigore degli aumenti. L’Agenzia delle Entrate, infatti, ha cominciato recentemente a esigere le somme non dovute e il primo dei 25 porti in contenzioso si è già visto bloccare i conti correnti. In Italia le infrastrutture della nautica da diporto sono state costruite interamente con capitali privati e, a conclusione dei contratti di concessione delle superfici libere, saranno gratuitamente devolute al patrimonio pubblico dello Stato”.
“Tutto ciò – spiega Ucina – non rappresenta solo una indebita pretesa dello Stato, a ulteriore dimostrazione di una cultura anti impresa che si diffonde nel Paese, anche a livello di classe dirigente, ma il non aver affrontato il problema rappresenta anche una sottrazione ai danni per tutti i cittadini italiani. Operando in questo modo, infatti, il messaggio che arriva forte e chiaro a tutti gli investitori, nazionali ed esteri è evidente: l’Italia è un Paese dove non ci sono certezze e di cui non ci si può fidare”.
“Il secondo messaggio di questa legge di bilancio, fortemente negativo – continua l’associazione di categoria – è quello per cui, ancora una volta, ottiene ascolto solo chi blocca servizi pubblici essenziali. E anche in questo è difficile cogliere grandi cambiamenti con il passato. In questo scenario, Ucina Confindustria Nautica conferma il suo impegno e la prosecuzione dell’azione di rappresentanza e di difesa di tutta la filiera della nautica da diporto italiana, per il necessario prosieguo di un confronto con le istituzioni su questo e sugli altri temi sensibili del settore”, conclude l’Ucina.